Il viaggio del Pellegrino di Puglia

Copertina libro martina franca cesare brandi

Il viaggio del Pellegrino di Puglia

Gli scritti che dedico alle città, senza altra preoccupazione della scrittura, mi divertono, come già mi divertì scrivere Martinafranca, così Cesare Brandi ne scrive il nome, ancora nel 1969, continuando con la sua scrittura colta e divertita a condurre a spasso per il mondo da Martina Franca a Palmira, da Piombino a Bangkok i lettori di ieri e di oggi.

 

Copertina libro martina franca cesare brandi

 

Cesare Brandi da Martinafranca a Martina Franca

Gli scritti che dedico alle città, senza altra preoccupazione della scrittura, mi divertono, come già mi divertì scrivere Martinafranca, così Cesare Brandi ne scrive il nome, ancora nel 1969, continuando con la sua scrittura colta e divertita a condurre a spasso per il mondo da Martina Franca a Palmira, da Piombino a Bangkok i lettori di ieri e di oggi. Martina come Piombino, Taranto e le altre città dell’Italsider, vive da allora, a modo suo, il miracolo dell’acciaio tra gli ulivi e di una storia che si è fermata. Cesare Brandi nel suo viaggio in Puglia, su Il Resto del Carlino del 27 gennaio1956, ripubblicato in Città & cittadini, dicembre 2012, numero 18, scopre la campagna che si stende fra Locorotondo e Martinafranca e, divertito da quel funambolismo della facciata di San Martino, rapito dallo spettacolo esclama una città intera, per piccola che sia, tutta frastagliata e percorsa di rilievi rococò, come da un rampicante, non esiste, che io sappia. Il miracolo di Martinafranca risparmiata dagli strazi edilizi, dopo più di 10 anni, è proclamato da Cesare Brandi su Il Corriere della Sera del 23 gennaio 1967, che scrive gioiosamente meravigliato non è un miracolo ritrovare una città cosiffatta?

Paolo Grassi, martinesi e turisti innamorati di Martina Franca, annunciano con entusiasmo Il miracolo al sindaco Alberico Motolese. La Giunta Municipale, il 27 gennaio, approva la Pubblicazione illustrativa storica artistica di Martina Franca. Affidamento incarico all’esimio prof. Cesare Brandi. Il sindaco gradevolmente sorpreso dal miracolo, scrive al professore, il 3 febbraio, sperando di poterla rivedere al più presto a Martina, in una sosta prolungata, … sicuro che la sua promessa, preziosa collaborazione nell’opera che farà conoscere alla pubblica opinione quanto è ancora privilegio di pochi, sarà di valido aiuto per potenziare le attività culturali di questo Comune. Il Comune acquista e distribuisce diverse copie de Il Corriere della Sera del 23 gennaio 1967, ma alcuni consiglieri comunali, soliti guastafeste, non apprezzano l’omaggio, perché Il miracolo di Martinafranca fa propaganda elettorale al Sindaco a spese del Comune. Seguono deliberazioni e discussioni relative al libro Martina Franca che tutti possono consultare per leggere la pagina più significativa della nostra storia culturale recente. Se ne forniscono gli estremi:

Deliberazione Giunta Municipale N. 56, 27 gennaio 1967. Pubblicazione illustrativa storica artistica – Affidamento incarico all’esimio prof. Cesare Brandi. L. 1.000.000.
Deliberazione Consiglio Comunale N. 44, 24 maggio 1967. Ratifica della Deliberazione Giunta Municipale N. 56,  27 gennaio 1967. Pubblicazione illustrativa storica artistica – Affidamento incarico all’esimio prof.  Cesare Brandi.
Deliberazione Giunta Municipale N. 57, 27 gennaio 1967. Preventivo servizio fotografico aspetti artistici panoramici della città e comprensorio di Martina Franca – Assunzione impegno di spesa. L. 1.360.000. Foto Ciro De Vincentis.
Deliberazione Consiglio Comunale N. 45, 24 maggio 1967. Ratifica della Deliberazione Giunta Municipale N. 57, 27 gennaio 1967. Preventivo servizio fotografico aspetti artistici panoramici della città e comprensorio di Martina Franca – Assunzione impegno di spesa.
Deliberazione Giunta Municipale N. 64, 20 febbraio 1968. Impegno di spesa per la stampa del libro “Martina Franca” del prof. Cesare Brandi. L. 7.400.000. Edizione affidata a Guido Le Noci.
Deliberazione Consiglio Comunale N. 55, 28 giugno 1968. Ratifica della Deliberazione Giunta Municipale N. 64, 20 febbraio 1968. Impegno  di spesa per la stampa del libro “Martina Franca” di Cesare Brandi.
Deliberazione Giunta Municipale N. 14, 11 gennaio 1969. Liquidazione diritti d’autore a favore del chiarissimo prof. Cesare Brandi per il libro “Martina Franca”. L. 1.000.000.
Deliberazione Consiglio Comunale N. 26, 7 maggio 1969. Ratifica della Deliberazione Giunta Municipale N. 14, 11 gennaio 1969. Liquidazione diritti d’autore a favore del chiarissimo prof. Cesare Brandi per il libro “Martina Franca”.
Deliberazione Giunta Municipale N. 15, 11 gennaio 1969. Assunzione di impegno di spesa per maggior costo di stampa del libro “Martina Franca” del prof. Cesare Brandi. L. 2.302.512.
Deliberazione Consiglio Comunale N. 27, 7 maggio 1969. Ratifica della Deliberazione Giunta Municipale N. 15,  11 gennaio 1969. Assunzione di impegno di spesa per maggior costo di stampa del libro “Martina Franca” del  prof. Cesare Brandi.
Deliberazione di Giunta Municipale N. 145, 27 marzo 1969. Presentazione ufficiale del libro “Martina Franca” di Cesare Brandi. Liquidazione spese. L. 788.746.

E’ però più affascinante il testo incantato e stupito di Cesare Brandi, riproposto in Città & cittadini, dicembre 2015, numero 21, che si ripubblica:


CORRIERE DELLA SERA Lunedì 23 gennaio 1967

NELLA STRAORDINARIA TERRA DEI TRULLI: IL MIRACOLO DI MARTINAFRANCA RISPARMIATA DAGLI STRAZI EDILIZI
Nel suo nucleo urbano, la città è ancora composta di case a misura umana, con straduzze strette come le Mercerie veneziane e piazzette pulite e bianche come una mensa

Lecce, gennaio.

Ero tornato a Martinafranca perlomeno con sospetto, per non dire con la paura di trovare la squisita cittadina pugliese completamente sfigurata. Ci vuol così poco ad ottenere questo risultato. Basta uno sventramento per il sacro traffico, due o tre sopraelevazioni, un po’ di edilizia di sostituzione e la frittata è fatta. Dopo, non si avrà neanche la forza, nonché la voglia, di impedire il resto. Tanto più poteva succedere tutto questo, in quanto Martinafranca non è una delle città più famose della Puglia, non è Lecce, non ha una celebre cattedrale. E’ una piccola città che sovrasta di poco, ma tanto da potere offrire un panorama circolare, una delle campagne più straordinarie che esistano, densa di verde, densa di quegli straordinari trulli che rappresentano l’incrocio più sottile di edilizia popolare e di tradizioni dotte, di una storia remota e di una che si è fermata. Ma anche per i trulli c’è Alberobello, a poca distanza, che è troppo più celebre di Martinafranca. E’ che Alberobello è un paese fatto di trulli, mentre Martinafranca, come cittadina, non ha trulli nel cerchio delle sue mura: i trulli sono in campagna, sono le case di campagna, quelle dove una volta si stava tutto l’anno, ed ora solo una parte. C’erano dunque le premesse per trovare una cittadina sfigurata, una campagna abbandonata. E si pensi che, in Puglia, neppure i grandi monumenti hanno incusso rispetto: lo strazio della cattedrale di Trani, col suo campanile smontato e rimontato con zollette di zucchero, l’apertura sul mare, come se mai dal di dentro di una chiesa si fosse dovuto vedere l’esterno, campagna o mare che sia, il santuario di Montesantangelo sconciato, la guglia falsa al campanile del duomo di Bari: non sono che i più dolorosi fra i nefasti che ha subìto questa terra ricca di monumenti e di prepotenti. Perché dunque avrebbe dovuto salvarsi Martinafranca?
    
Arrivarci d’inverno non è come venirci d’estate: le viti sono spoglie, i fichi sono come attaccapanni di ferro, con quei rami ricurvi spinti in alto. Da una terra rossa come quella dei campi di tennis, nel reticolo dei muretti a secco, solo i trulli imperano, stupendamente lindi e rustici, i trulli che non sono a capanna conica, come per lo più ad Alberobello, ma si innalzano da un basamento tozzo a barbacane, e sono cupole quindi, cupole che si dispongono a croce come in una chiesa, con quella più grande in mezzo. Così posati sulla campagna spoglia e sanguigna, nell’aria trasparente, anche col cielo grigio, danno al paesaggio una dimensione infinita, perché sembrano lontani anche se sono vicini: le loro proporzioni sono intimamente monumentali, non sono alla scala delle capanne. Così il falsopiano, su cui si trovano, lentamente ondulato, sale all’orizzonte fino ai boschi di querce rugginose, come se l’orizzonte si trovasse a 100 chilometri. La vastità, il respiro di questa campagna è senza paragoni. E tanto più colpisce, perché la Puglia è tutta piana, tutta luminosa, e con le ulivete immense o le distese sterminate di vigne, abitua subito al respiro a pieni polmoni, t’investe d’aria come una folata di vento, anche se non ci sia vento. Allora la campagna di Martinafranca non si capisce perché debba apparire ancora più vasta, e correre così veloce all’orizzonte. Corre come in certi paesaggi sghembi di Giovanni di Paolo, il fantasioso pittore senese del Quattrocento: e lì, in quegli incroci di strade e di campi sono piccole città puntute che fanno nodo. Ecco l’unico paragone possibile con queste case piene di cupole a punta, asserragliate come i pulcini sotto le ali della chioccia.
    
Anche qui non ci vorrebbe niente a sciupare tutto: e qualcosa si è sciupato, con le facciatine sfacciate rosse e blu e gialle. Sorveglianza ci vuole, difesa assoluta di questo paesaggio, che in fondo si difende da sé, tanto fitti sono i trulli che nessuno ha bisogno di cotruirsene uno nuovo, e basta sorvegliare e imporre che non si aggiungano quei colori sgargianti da fiera paesana, qui dove un passato preistorico si è congiunto a una tradizione edilizia addirittura paleocristiana, e non c’è nulla di rozzo, ma perfino i muri a secco hanno la nettezza di un mosaico di tessere di vetro.
    
E allora parliamo di Martinafranca. Certo, intorno al vecchio nucleo si sono stese anella di case nuove, e di scuole, per fortuna, e di ospizi e di ospedali. Questi cerchi di case non sono più brutti di tanti altri, anzi in genere sono meno pretenziosi: se si fossero frenati di più i colori (il sindaco ha frenato tante cose, freni anche questa, visto che può) sarebbe stato meglio. Ma una volta passato l’arco che immette nella piazza dove è il palazzo ducale, la città si offre uguale a come l’avevo vista più di 10 anni fa, ed era già un miracolo. Una città che è composta di case a misura umana con portalini e finestre rococò di una fattura squisita, con straduzze che sono strette come le Mercerie veneziane, ma una luce stupenda, come quando c’è la neve sui tetti e i riflessi candidi frugano le ombre. Sono strade che hanno l’andamento dei canali dei tarli, sulle quali s’erge impetuosa una facciata di chiesa dorata come la crosta del pane. I selciati sono lindi, le automobili quasi non possono girare: mentre ti inoltri in questo delicato labirinto, la strada porta a una specie di piazzetta, che è una specie di cortile interno, con tante piccole scale che portano alle case: e queste piazzette-cortili potrebbero essere ripiene di cattivi odori e di sudiciume. Sono invece pulite e bianche come una mensa, né i bambini ti seccano né mendicanti ti implorano.
    
Orbene, non è un miracolo ritrovare una città cosiffatta? Non è un secondo miracolo, che questo accada perché i cittadini vogliono che sia così? Perché l’onorevole sindaco e la giunta bocciano inesorabilmente sopraelevazioni ed edilizia di sostituzione? Con quanto bisogna dare l’allarme, e inutilmente il più delle volte, con tutti gli strazi edilizi, con i casi di oltraggiosa incuria o di malintesi miglioramenti, trovare una volta da dover dir bene, anzi lodare e augurarsi solo che si perseveri, è tale cosa rara da non potersi tacere. E’ proprio così: non lo potevo tacere.

Cesare Brandi